(Testo per la Conversazione Clinica della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi, Milano 8-9 Febbraio 2014) — Texto en español
Iniziamo a distinguere la specificità dei
termini che ci mettono in gioco per separarli dal loro uso psicologico*.
1.
– Il fantasma, al singolare non sono le
fantasie più o meno fiorite, più o meno ingannevoli in cui il soggetto
intrattiene la sua immaginazione e i suoi sogni diurni, come li si chiama di
solito. Il fantasma interviene indubbiamente in questi sogni, ma è più simile all’inchiostro
invisibile del copione di una scena che si scrive in molteplici versioni, una
scena originale che dovrà essere costruita anziché riprodotta nel ricordo.
Freud è stato già molto chiaro a tale proposito nel suo testo del 1919, Un bambino viene picchiato: il fantasma,
in senso stretto, il fantasma che più tardi Lacan qualificherà come “fantasma
fondamentale”, è sempre costruito anche quando sembra essere ricordato come
tale [come ricordo]. A partire di qua, il fantasma, più che essere interpretato
come una scena immaginaria, sarà costruito come una frase, anche come un
assioma, che definirà i termini nei quali si gioca il desiderio per ogni
soggetto.
2.
– Il
reale, come sostantivo e non come aggettivo, non è la realtà che questo stesso
soggetto dice di percepire come una unità più o meno consistente, più o meno
completa, in rapporto con la realtà immaginaria del suo Io. Il reale interviene
anche in questa realtà, ma sempre in un modo dirompente, frantumando la sua
unità e il suo senso in modo irreversibile, seguendo la formula che Lacan
ricordò, molto presto nei suoi scritti: il poco di realtà che ha il reale.[1]
Da allora, il reale – termine che ci convoca al prossimo congresso dell’AMP con
Un reale per il XXI secolo – sta
necessariamente più in là della realtà percepita e modulata secondo il
principio che Freud formulò come “principio del piacere”. L’incontro con il
reale sarà allora per ogni soggetto qualcosa di sempre imprevisto, fuori tempo,
fuori senso, persino traumatico.
3.
– Nella
clinica lacaniana, cioè in una clinica che ha un’unica base: “Ciò che si dice
in una psicoanalisi”,[2]
nella misura in cui ciò che si dice si ascolta orientato dal reale, ovvero da
quello che non cessa di non scriversi in quello che si dice, secondo una delle
definizioni date da J. Lacan del reale. In questo orientamento J.-A. Miller ha
potuto recentemente indicare quanto segue: “C’è qualcosa di paradossale nel
fatto che nella nostra clinica, il termine fantasma si sia in qualche modo
cancellato, mentre ci appassioniamo a identificare e discernere la fine di
un’analisi come se, per una sorta di divergenza, riservassimo il problema del fantasma
per il fine analisi e lo eliminassimo dal lato della clinica. È il luogo dove
per Lacan si giocherà il fine analisi quando definirà la passe come la soluzione alla impasse essenziale del soggetto nel
suo rapporto con il significante”.[3]
Per questi motivi, conviene allora rileggere a partire dal registro del reale
la dimensione e il luogo del fantasma in una clinica che si chiarisce al tempo stesso
con le testimonianze di passe nelle quali l’articolazione tra fantasma e reale
diventa sommamente decisiva.
Scritture del fantasma
Una volta distinti i
termini, ricordiamo brevemente come fu necessaria la loro introduzione per
render conto dei fenomeni nella clinica freudiana.
Di fatto, fu Sigmund
Freud il primo che ricorse alla nozione di fantasma (Phantasie) per spiegare il valore causale della scena di seduzione
nei casi di isteria. L’abbandono della sua teoria di una seduzione accadeva in
realtà per spiegare il sintomo – “ormai non credo più alla mia nevrotica”[4]
– spostò questo valore causale alla struttura di un fantasma la cui verità si
formulava come un proton pseudos,
come una menzogna originaria. A partire da allora il fantasma è la sede di
un’altra causa diversa da quella che la scienza cerca nella realtà secondo una
legge di causalità lineare che confonde inevitabilmente verità e causa reale.
La nozione di “realtà psichica” (Psychische
realität) occuperà per Freud il nuovo spazio di una casualità che include
il più reale della causa nel fantasma del soggetto.
Fantasma e reale si
annodano in un modo che non consente la loro separazione senza che ognuno si
dissolva nell’altro. Se il nodo si scioglie, una delle due: o il reale è un
puro fantasma, o il fantasma è l’unica cosa che vi è di reale. Indichiamo tra
l’altro che la stessa fisica del nostro tempo si è vista a volte trascinata
verso questo stesso paradosso: se si scioglie il nodo indissolubile che c’è tra
l’osservatore e il reale che dice di osservare, o non c’è altro reale che la
“coscienza” – questo fantasma che percorre il pensiero dell’Occidente – oppure
questo reale sparisce in quanto tale di fronte all’osservatore.[5]
In questo modo, il
fantasma e il reale si annoderanno anch’essi in un rapporto di congiunzione/disgiunzione
nella clinica freudiana dell’Uomo dei
lupi, così come l’ha ricordato
Domenico Cosenza nel testo di presentazione di questa Conversazione seguendo il
riferimento di Lacan: “Prendiamo l’esempio dell’Uomo dei lupi. L’importanza eccezionale di questa osservazione
nell’opera di Freud, è di dimostrare che il piano del fantasma funziona in
rapporto al reale. Il reale dà supporto al fantasma, il fantasma protegge il
reale”.[6]
Sappiamo l’importanza che ha avuto per Freud e per il destino dello stesso
soggetto Sergei Pankeiev la fissazione della scena fondamentale del suo fantasma,
la visione della scena primaria del rapporto sessuale tra i genitori e il suo
rapporto con il famoso sogno dei cinque lupi posati nei rami di un albero con
lo sguardo fisso nel soggetto. Questo oggetto centrale dello sguardo è lo
stesso sguardo del soggetto inquadrato nella finestra del fantasma. Sappiamo
pure il grande interesse di Freud nel fissare la data esatta dell’esperienza
del soggetto di fronte al reale di quella scena, fino al punto che lo stesso
Lacan non ha dubbi a indicare che la pressione esercitata da questo interesse
sul soggetto non fu estranea ai suoi episodi psicotici. Ma ciò che ci interessa
indicare ora è stato uno dei risultati dello sforzo formalizzatore di Freud nel
cifrare la scena fondamentale del godimento del soggetto fino a trovargli la
seguente scrittura:
n + 11/2 anni
L’indicazione di Freud[7]
lascia in questo modo a nudo il reale del fantasma fuori dal tempo cronologico
della vita del soggetto, facendo dipendere la sua fissazione dalla variabile n in rapporto con la parte costante
della formula: 11/2. Di
fatto è una sorta di matema freudiano del fantasma che vincola mescolando
insieme qualcosa di impossibile da quantificare, n, con qualcosa di quantificabile; una parte reale impossibile da
rappresentare e una parte simbolizzabile per scrivere la struttura della scena
immaginaria. Sia il sogno che il fantasma si ordinano attorno a questo reale
che non cessa di non scriversi in ciò che il soggetto riferisce della sua
esperienza. C’è in questo modo un punto in comune tra il sogno e il fantasma
dell’Uomo dei lupi. È un punto di
identità tra l’ombelico del reale che lo sguardo dei lupi fa presente nel sogno
e lo sguardo del soggetto stesso nella sua impossibilità di incontrarsi con il
reale del fantasma della scena primaria del rapporto sessuale tra i genitori.
Se il sogno si produce come una formazione dell’inconscio, come una
realizzazione del desiderio del soggetto attorno allo sguardo come ombelico del
reale, il fantasma si costituisce come una difesa di fronte a questo stesso
reale che divide il soggetto.
È quello che la formula lacaniana del fantasma scrive nell’
unione/separazione del soggetto diviso:
($<>a)
Si tratta di un
oggetto che il soggetto è nel suo fantasma, – uno sguardo in questo caso – ma
anche un oggetto dal quale si separa per costituirsi come soggetto del
desiderio nel suo incontro – un incontro che è sempre un incontro fallito – con
il desiderio dell’Altro. In questo rapporto di unione e separazione tra
soggetto e oggetto – rapporto segnato dal simbolo <> – il fantasma si
costituisce come una difesa di fronte al reale, ma anche come la sua unica
porta di accesso per il soggetto del desiderio. Di fatto, così come indicava
Lacan, alla fine “non c’è altra entrata per il soggetto nel reale che non sia
il fantasma”.[8] In
questo modo il fantasma si costituisce come difesa, come tenda o schermo di
fronte all’impossibile da rappresentare, di fronte all’impossibile del rapporto
sessuale e al tempo stesso come l’unica via d’accesso a questo stesso reale che
resta inevitabilmente opaco, fuori senso nel fantasma.
Tuttavia, in questa
operazione, compie anche una funzione preminente, quella di fissare un oggetto
per la pulsione che non ha, per struttura, un oggetto predeterminato. Di fatto,
la pulsione, diversamente dall’istinto che sa in quale oggetto deve soddisfarsi
per necessità, non ha scritto nel suo programma in che oggetto deve
soddisfarsi. La pulsione non suppone nessun rapporto d’oggetto, è pura domanda
di soddisfazione in un circuito di andata e ritorno sul soggetto stesso, un
circuito di godimento autoerotico per struttura.
In questo senso, così
come lo indica J.-A. Miller, “la vera relazione d’oggetto si trova a livello
del fantasma […] non si colloca a livello della pulsione […] che ha lo statuto
di una domanda e di una domanda più imperativa nella misura in cui è inconscia
[…] La relazione con l’oggetto non si colloca a livello della pulsione, ma del
desiderio e questo per la mediazione del fantasma”.[9]
Al tempo stesso e per
questa stessa ragione “il fantasma eclissa la pulsione”, allo stesso modo in
cui la percezione della realtà eclissa il reale impossibile da rappresentare.
La lettera del fantasma e il reale del sinthomo
Così c’è sempre e necessariamente
qualcosa che non cessa di non scriversi in ciò che il soggetto
racconta della sua esperienza fantasmatica, un reale che sopporta il fantasma,
ma anche un reale di fronte al quale lo stesso fantasma si costituisce come
difesa. Sottolineiamo qui che il termine supporto, utilizzato da Lacan a
proposito di questa funzione del fantasma, è lo stesso termine che ha
utilizzato in varie occasioni per collocare in modo molto presto un concetto
che avrà un lungo percorso nel suo insegnamento, l’istanza della lettera
nell’inconscio: “Designiamo con lettera il supporto materiale che il discorso
concreto prende dal linguaggio”.[10]
In seguito, nel suo testo Lituraterre,
utilizzerà il termine “appoggio”[11]
per collocare questa istanza della lettera come diversa dal significante. Ed è
un supporto o appoggio che potrà trovarsi anche nel corpo del sintomo come
luogo di scrittura di un godimento, come iscrizione della soddisfazione della
pulsione.
In questo modo si
anticipa, seguendo il filo di questa istanza della lettera nel fantasma, quella
parte del sintomo che permane come opacità di godimento, fuori senso, parte
alla quale si ridurrà la funzione del sinthomo
alla fine dell’analisi. Il sinthomo
funziona di fatto come un una mescola formata dal fantasma e dal sintomo, lì
dove si trova la lettera come punto d’intersezione di entrambi. La funzione del
sintomo, alla quale verrà ridotto il sintomo una volta svuotato dal senso che
il fantasma gli prestava, è una funzione operata dalla lettera come iscrizione
del godimento che rimane fuori senso per il soggetto. In questa funzione,
quello che non cessa di non scriversi del reale rimarrà iscritto grazie alla
contingenza di un incontro.
Vediamo un eccellente
esempio di questa articolazione tra il fantasma e il reale attraverso la
funzione della lettera in una testimonianza di passe che abbiamo potuto commentare recentemente.[12]
Si tratta delle riscritture successive di un fantasma – essere ridotto allo
scarto dell’oggetto anale – che ha la sua articolazione nel sintomo – una
anoressia pervicace – a partire dalle seguenti scene: “Prima scena: a pochi
mesi mi avevano lasciata nuda nella culla. Con la cacca mi impiastricciai la
faccia e sporcai il muro. Seconda scena: la uaua
(acqua,) mi ripuliva nella bacinella del bagno; presi il rossetto che c’era
nella mensola e ancora nella culla mi dipinsi il viso e scarabocchia il muro.”
Una seconda articolazione si produrrà con un’immagine che impressionò il
soggetto nella pubertà: “la sigla RIF – Richtiger Idischer Fetz – il sapone
della vetrina del museo dell’Olocausto a Gerusalemme mentre lo sguardo di un
bambino affamato promesso al sacrificio mi interpellava dalla gigantografia che
occupava un luogo preminente nella sala in cui mi trovavo”. Il fantasma si
depurerà via, via a partire da un incontro fallito con il reale, fatto presente
qui dalla riduzione dell’essere umano al resto più ripugnante: “L’espressione,
probabilmente ascoltata nella scuola inglese che frequentavo nell’infanzia –
ebrea di merda, mette in rapporto l’S1 e lo scarto/rifiuto, che congiunge nella
sua formulazione l’oggetto anale della prima scena e l’oggetto orale con cui,
secondo un’espressione paterna, si alimentava mia madre: – Nie jiesc smieci! Non mangiare spazzatura! – gli dice lui
nell’osservare il contenuto del piatto che lei si era preparato”.
Sottolineiamo che nelle
prime scene infantili non c’è in un primo momento ness’un altro personaggio. Si
tratta del rapporto del soggetto con gli oggetti del suo corpo, che occupa qui
il luogo dell'Altro, del godimento come Altro, si tratta del rapporto con gli
escrementi come resti e con l’attività di imbrattare, dipingere, persino
scrivere. Il soggetto si imbratta, dipinge se stesso con gli escrementi e
sporca con essi i muri. Il corpo e la parete sono in questo modo la superficie,
il luogo in cui l’oggetto anale diventa una specie di scrittura. Nella seconda
scena c’è una certa trasformazione di questa attività, più igienica del resto,
– una certa sublimazione anche dell’oggetto anale in un oggetto agalmatico per
la femminilità – passando dall’escremento al rossetto per le labbra utilizzato
per dipingersi il viso e poi scrivere nella parete. Sono due scene nelle quali
il reale con il quale si imbatte il soggetto troppo presto – sempre fuori
tempo, mai preparato ad esso –, è il reale di un godimento del corpo che rimane
fuori dalla cornice del simbolico, del significante, e che prenderà un’altra
strada per vincolarsi al simbolico del linguaggio a partire dal registro del
reale, la via della lettera.
La lettera, la
scrittura, come indicava Lacan a proposito della lettura nel suo seminario del
testo Lituraterre, la lettera sta nel
reale e il significante nel simbolico.[13]
L’istanza della
lettera riappare nella seguente immagine collocata nella pubertà del soggetto,
con le lettere RIF iscritte nel sapone della vetrina del museo dell’Olocausto.
La lettera è qui scritta nello stesso oggetto del fantasma, il sapone che
contrasta con l’oggetto escrementizio della scena precedente dell’infanzia.
Sono tre lettere che sono passate alla storia del cosiddetto Olocausto come la
cifra dell’orrore sacrificale più abietto, quello che riduce il corpo del
soggetto a un resto, a un oggetto residuale, riciclato poi il un oggetto
dedicato alla pulizia. Non si tratta qui di verificare o meno l’esattezza di
questa operazione attribuita all’abiezione dell’Altro, ma del vincolo che questa
scrittura avrà per il soggetto con un altro oggetto, questa volta un oggetto
scopico: con lo sguardo del bambino affamato, a sua volta promesso al
sacrificio dell’Altro. Sguardo, corpo ridotto a un oggetto dai limiti
imprecisi, corpo che cancellerà le forme in un dimagrimento progressivo, corpo
che si cancellerà anche come una lettera nel campo del godimento. Proprio in
questa via si costituirà il sintomo del soggetto e il suo nodo con il fantasma.
Sottolineiamo infine
lo stretto legame di questo percorso pulsionale, percorso anche di tutta
un’analisi, con una forma di scrittura, una forma che va dal velo del pudore
necessario per diminuire l’orrore dell’oggetto più inumano, velo che
ciononostante aveva lasciato il soggetto preso nelle reti della ripetizione e
del sintomo, fino alla scrittura finale di ciò che ella stessa colloca in
questa “traccia insensata dello scritto nel corpo e nell’incontro traumatico
con lalingua”
È lì che il soggetto
può leggere finalmente ciò che si è scritto del reale nel suo fantasma, quale
oggetto stava sotto i veli del pudore, per quanto sottile il corpo si
nascondesse in essi. È lì che, riprendendo l’espressione di J.-A. Miller,
“questo campo del fantasma funziona come un reale”.[14]
(Traduzione di Erminia
Macola e Pilar Sánchez Otín)
[1] Il riferimento è a André Breton e al suo Discorso sul poco di realtà, in J. Lacan, Lo Stadio dello
specchio come formatore dell’Io, Scritti I, Einaudi, Torino
2002, p. 90.
[2] J. Lacan, Ouverture de la
Section Clinique, in “Ornicar?”, n. 9, p. 7.
[3] J.-A. Miller, Presentazione del
Seminario VI, (Conferenza alla Mutualità,
Maggio 2013). Pubblicata nella rivista digitale Latigazo, 1 e 2).
[4] S. Freud, Lettere a Wilhelm
Fliess (1887-19049), lettera 69, Bollati Boringhieri, Torino 2008.
[5] Dall’astronomo e matematico Sir James Hopwood Jeans del
secolo scorso —“L’ universo comincia ad assomigliare più a un grande pensiero
che a una grande macchina”— fino all’altro astronomo Martin Rees del nostro secolo —“L’universo
esiste perché abbiamo coscienza di esso”—. Si veda, ad esempio, Bruce Rosenblum
y Fred Kutner, Quantum Enigma. Physics
encounters consciousness, Oxford University Press , 2008.
[6] J. Lacan, Il Seminario, Libro XI, I quattro concetti
fondamentali della psicoanalisi, 1964, Einaudi, Torino 2003, p. 42.
[7] “Probabilmente proprio a causa della sua malattia il bimbo si trovava
nella camera dei genitori. Questa malattia, la cui esistenza è confermata dalla
diretta tradizione familiare, ci permette di situare l’evento nell’estate e
quindi di attribuire al bambino (nato il giorno di Natale) l’età di n + 11/2 anni”. S. Freud, Dalla storia di una nevrosi infantile (Caso clinico dell’uomo dei lupi),
Opere, VII, Boringhieri, Torino 1977, pp. 514-515.
[8] J. Lacan, La logica del
fantasma, Altri scritti, einaudi, Torino 2013, p. 322.
[9] J.-A. Miller, Presentazione del
Seminario VI, cit.
[10] J. Lacan, Scritti, I,
Einaudi, Torino 2002, p. 490.
[11] “È la lettera come tale a dare appoggio al significante seguendo la
legge della metafora”; J. Lacan, Altri
scritti, cit., p. 17.
[12] La testimonianza offerta da Paula Kalfus, El arrebato y sus rodeos, al tavolo degli analisti della Scuola,
nella recente XX giornata della EOL, Encrucijadas
del analisis. Una cita con lo real, avvenuta il 24-25 novembre 2013. Il testo è
ancora inedito e lo citiamo dall’originale trasmesso dall’autrice.
[13] J. Lacan, Il Seminario, Libro XVIII, Di un discorso
che non sarebbe del sembiante, 1971,
Testo stabilito da J-A. Miller, Edizione italiana a cura di A. Di Ciaccia,
Einaudi, Torino 2010, p.113.
[14] J.-A. Miller, Presentazione del
Seminario VI, cit.
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