(Intervento nel Seminario di Politica Lacaniana di Jacques-Alain Miller, Torino 8/07/2017. Ringrazio Paola Bolgiani per la revisione del testo in italiano.)
Il denaro è “fra i significanti il più annichilente ogni
significazione.”[1] Questa è l’affermazione di Lacan nel suo
testo “Il Seminario su La lettera rubata”
a proposito dell’operazione fatta da Dupin, l’investigatore privato, che a un
certo momento si ritira dal circuito simbolico del percorso della lettera
rubata per fare la sua manovra, scoprire quello che si trovava alla vista di
tutti, e poi riscuotere il suo onorario. Con la messa in gioco del denaro,
Dupin si sottrae agli effetti di amore e di odio che sono nel circuito transferale
della lettera, neutralizzando le sue significazioni. Sappiamo che anche per l’analista
il denaro fa di limite all’amore di transfert nell’analisi, alle sue
significazioni come transfert positivo o negativo. Questo potere del denaro
come significante che può annullare, neutralizzare, gli effetti di
significazione di tutti gli altri significanti, è paragonabile solo al potere della
morte. La morte, per il Lacan degli anni cinquanta, lettore di Freud, è
anch’essa il padrone assoluto che comanda tutte le significazioni, il Signore
assoluto che comanda le significazioni del lapsus di Freud nella sua
dimenticanza del nome del pittore degli affreschi di Orvieto, Luca Signorelli.
L’essere-per-la-morte, ripreso da Heidegger, è infatti per Lacan un
essere-di-godimento. E il denaro è il significante principale nella nostra
civilizzazione che significa una perdita di godimento, una cessione di una
soddisfazione pulsionale.
Dunque, come diceva Francisco de Quevedo, “poderoso caballero es Don
Dinero”, poderoso signore è Don Denaro. Non c’è niente che rimanga al di fuori
del suo potere, —everything has its price,
come diceva la massima del capitalismo nella sua versione americana.
Ma il denaro nella nostra civilizzazione, per la psicoanalisi, per Lacan,
non è soltanto un significante padrone. Il denaro è anche un oggetto, un
oggetto di godimento esso stesso. Si può godere nell’avere denaro, cosa del tutto
contraria alla sua funzione di equivalente generale, che presupporre lo scambio
con un altro oggetto. Il denaro, l’oggetto che, secondo Marx, è escluso
dell’universo di oggetti per diventare il suo equivalente generale, esso stesso
diventa un altro oggetto, reintegrato nel circuito libidinale degli oggetti
della pulsione. Si può godere del denaro come oggetto di per se stesso, perché
il denaro “rimane materia, nel senso dell’oggetto anale”, come ricordava Jacques-Alain
Miller[2]
in una intervista alla rivista La cause
freudienne.
Quando consideriamo il denaro come oggetto, il suo potere diventa un poco
più incerto. Nel suo versante oggetto, il denaro può valere anche per la sua mancanza.
Allora, si può godere di non godere, si può godere della mancanza di godere di
ciò che il denaro renderebbe possibile, come nel caso dell’avaro. O si può
godere del denaro come di un oggetto che non si ha e che si deve a un altro,
principio dell’economia del credito e del debito che alimenta il circuito
infernale del neocapitalismo. Dunque, il denaro come oggetto include una
funzione della mancanza, che è un’obiezione fondamentale al suo potere di significante
universale come equivalente generale. Il feticismo della merce, che Marx aveva individuato
come un tratto del capitalismo, implica anche il denaro stesso preso come
oggetto. La mancanza del denaro è presa essa stessa come un oggetto che si può
includere di nuovo nel circuito libidinale. Di fronte a questa economia
libidinale che ricicla il denaro come resto, occorre includere da un’altra
parte la logica del non-tutto. Come ricordava Jacques-Alain Miller sempre in
quell’intervista, “Tutto ha un prezzo, tranne il niente, la mancanza, il
principio del desiderio, l’oggetto a,
la causa del desiderio.” [3]
Dunque, dobbiamo andare da una logica del denaro come equivalente generale,
del “tutto ha un prezzo”, verso la logica del “non tutto”, dove bisogna
includere questo niente, principio logico del desiderio e del godimento. Si può
acquistare un oggetto pagando il suo prezzo stabilito mediante il suo rapporto
con l’equivalente generale nel mercato, ma non si potrà mai acquistare in modo
analogo il godimento e il sapere su questo oggetto nella stessa operazione.
Detto in un altro modo: occorre acquistare il valore di godimento, il valore di
uso, di ciò che si pensa di avere acquistato prima mediante il suo valore
scambio. E diciamo che questo versante “non tutto” dell’oggetto è sempre
costoso, molto costoso e che non c’è equivalente generale per misurarlo, non
c’è una quantificazione possibile, c’è qualcosa del sapere e del godimento
dell’oggetto che sfugge necessariamente al dominio della cifra. La psicoanalisi
ci insegna che in ogni caso la mancanza, che è la causa del desiderio e il
godimento dell’oggetto, è sempre costosa, molto costosa. Quanto vale il sapere qualcosa
sul godimento dell’oggetto, sul suo valore di uso? Lacan darà una risposta nel
suo Seminario XX, Ancora, dicendo che
costa molto (beau-coup): “Il sapere vale esattamente quello che costa, un bel costo (beau-coup), perché bisogna
rischiare la pelle, perché è difficile —che cosa?— non tanto acquistarlo quanto
goderne. […] La fondazione di un sapere è infatti che il godimento del suo
esercizio sia lo stesso di quello della sua acquisizione.”[4]
Bisogna rischiare la pelle per godere dell’oggetto e fondarne un sapere che
sia trasmissibile. Bisogna anche rischiare la libbra di carne che Shylock, il
mercante de Venezia, voleva prendere da Basanio come il prezzo impossibile da stabilire
per il godimento, che è per ciascuno il prezzo della castrazione, sempre
singolare e non quantificabile. Non c’è possibilità di acquistare il desiderio
e il sapere sul godimento dell’oggetto con una cifra in denaro. Ed è anche per
questa ragione che Lacan pensava che un vero ricco fosse sempre impossibile di
analizzare, perché non potrà mai pagare il bel
costo, il beau-coup, che implica
il desiderio.
In questa prospettiva della funzione del denaro come oggetto e come segno
di una non equivalenza, come segno di un non
rapporto e di un “non-tutto”, diciamo per concludere che c’è sempre un
impossibile da contabilizzare che non
cessa di non essere pagato con il
denaro. Nella contabilità generale del godimento della nostra civilizzazione,
chiamata della globalizzazione, c’è sempre qualcosa che sfugge. Su questo
versante incontriamo il rapporto del denaro con il reale, un reale che è anche
il reale del tempo. Non c’è equivalenza possibile tra il denaro e il tempo,
cosa che la psicoanalisi lacaniana mette in gioco in ogni seduta, in cui il
denaro non misura il reale del tempo della parola del soggetto. Il denaro è il
costo del sapere sul godimento, del tempo per sapere, che non è cronologico,
contabilizzato dall’orologio. Per la
psicoanalisi non soltanto time is not
money, non soltanto il tempo non è denaro, ma soprattutto money is not time, il denaro non è il
tempo.
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