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10 de febrer 2014

Fantasma e reale nella clinica lacaniana


















(Testo per la Conversazione Clinica della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi, Milano 8-9 Febbraio 2014) — Texto en español

Iniziamo a distinguere la specificità dei termini che ci mettono in gioco per separarli dal loro uso psicologico*.

1.    Il fantasma, al singolare non sono le fantasie più o meno fiorite, più o meno ingannevoli in cui il soggetto intrattiene la sua immaginazione e i suoi sogni diurni, come li si chiama di solito. Il fantasma interviene indubbiamente in questi sogni, ma è più simile all’inchiostro invisibile del copione di una scena che si scrive in molteplici versioni, una scena originale che dovrà essere costruita anziché riprodotta nel ricordo. Freud è stato già molto chiaro a tale proposito nel suo testo del 1919, Un bambino viene picchiato: il fantasma, in senso stretto, il fantasma che più tardi Lacan qualificherà come “fantasma fondamentale”, è sempre costruito anche quando sembra essere ricordato come tale [come ricordo]. A partire di qua, il fantasma, più che essere interpretato come una scena immaginaria, sarà costruito come una frase, anche come un assioma, che definirà i termini nei quali si gioca il desiderio per ogni soggetto.

2.    Il reale, come sostantivo e non come aggettivo, non è la realtà che questo stesso soggetto dice di percepire come una unità più o meno consistente, più o meno completa, in rapporto con la realtà immaginaria del suo Io. Il reale interviene anche in questa realtà, ma sempre in un modo dirompente, frantumando la sua unità e il suo senso in modo irreversibile, seguendo la formula che Lacan ricordò, molto presto nei suoi scritti: il poco di realtà che ha il reale.[1] Da allora, il reale – termine che ci convoca al prossimo congresso dell’AMP con Un reale per il XXI secolo – sta necessariamente più in là della realtà percepita e modulata secondo il principio che Freud formulò come “principio del piacere”. L’incontro con il reale sarà allora per ogni soggetto qualcosa di sempre imprevisto, fuori tempo, fuori senso, persino traumatico.

3.    Nella clinica lacaniana, cioè in una clinica che ha un’unica base: “Ciò che si dice in una psicoanalisi”,[2] nella misura in cui ciò che si dice si ascolta orientato dal reale, ovvero da quello che non cessa di non scriversi in quello che si dice, secondo una delle definizioni date da J. Lacan del reale. In questo orientamento J.-A. Miller ha potuto recentemente indicare quanto segue: “C’è qualcosa di paradossale nel fatto che nella nostra clinica, il termine fantasma si sia in qualche modo cancellato, mentre ci appassioniamo a identificare e discernere la fine di un’analisi come se, per una sorta di divergenza, riservassimo il problema del fantasma per il fine analisi e lo eliminassimo dal lato della clinica. È il luogo dove per Lacan si giocherà il fine analisi quando definirà la passe come la soluzione alla impasse essenziale del soggetto nel suo rapporto con il significante”.[3] Per questi motivi, conviene allora rileggere a partire dal registro del reale la dimensione e il luogo del fantasma in una clinica che si chiarisce al tempo stesso con le testimonianze di passe nelle quali l’articolazione tra fantasma e reale diventa sommamente decisiva.

Scritture del fantasma

Una volta distinti i termini, ricordiamo brevemente come fu necessaria la loro introduzione per render conto dei fenomeni nella clinica freudiana.
Di fatto, fu Sigmund Freud il primo che ricorse alla nozione di fantasma (Phantasie) per spiegare il valore causale della scena di seduzione nei casi di isteria. L’abbandono della sua teoria di una seduzione accadeva in realtà per spiegare il sintomo – “ormai non credo più alla mia nevrotica”[4] – spostò questo valore causale alla struttura di un fantasma la cui verità si formulava come un proton pseudos, come una menzogna originaria. A partire da allora il fantasma è la sede di un’altra causa diversa da quella che la scienza cerca nella realtà secondo una legge di causalità lineare che confonde inevitabilmente verità e causa reale. La nozione di “realtà psichica” (Psychische realität) occuperà per Freud il nuovo spazio di una casualità che include il più reale della causa nel fantasma del soggetto.
Fantasma e reale si annodano in un modo che non consente la loro separazione senza che ognuno si dissolva nell’altro. Se il nodo si scioglie, una delle due: o il reale è un puro fantasma, o il fantasma è l’unica cosa che vi è di reale. Indichiamo tra l’altro che la stessa fisica del nostro tempo si è vista a volte trascinata verso questo stesso paradosso: se si scioglie il nodo indissolubile che c’è tra l’osservatore e il reale che dice di osservare, o non c’è altro reale che la “coscienza” – questo fantasma che percorre il pensiero dell’Occidente – oppure questo reale sparisce in quanto tale di fronte all’osservatore.[5]
In questo modo, il fantasma e il reale si annoderanno anch’essi in un rapporto di congiunzione/disgiunzione nella clinica freudiana dell’Uomo dei lupi, così come l’ha ricordato Domenico Cosenza nel testo di presentazione di questa Conversazione seguendo il riferimento di Lacan: “Prendiamo l’esempio dell’Uomo dei lupi. L’importanza eccezionale di questa osservazione nell’opera di Freud, è di dimostrare che il piano del fantasma funziona in rapporto al reale. Il reale dà supporto al fantasma, il fantasma protegge il reale”.[6] Sappiamo l’importanza che ha avuto per Freud e per il destino dello stesso soggetto Sergei Pankeiev la fissazione della scena fondamentale del suo fantasma, la visione della scena primaria del rapporto sessuale tra i genitori e il suo rapporto con il famoso sogno dei cinque lupi posati nei rami di un albero con lo sguardo fisso nel soggetto. Questo oggetto centrale dello sguardo è lo stesso sguardo del soggetto inquadrato nella finestra del fantasma. Sappiamo pure il grande interesse di Freud nel fissare la data esatta dell’esperienza del soggetto di fronte al reale di quella scena, fino al punto che lo stesso Lacan non ha dubbi a indicare che la pressione esercitata da questo interesse sul soggetto non fu estranea ai suoi episodi psicotici. Ma ciò che ci interessa indicare ora è stato uno dei risultati dello sforzo formalizzatore di Freud nel cifrare la scena fondamentale del godimento del soggetto fino a trovargli la seguente scrittura:

n + 11/2 anni

L’indicazione di Freud[7] lascia in questo modo a nudo il reale del fantasma fuori dal tempo cronologico della vita del soggetto, facendo dipendere la sua fissazione dalla variabile n in rapporto con la parte costante della formula: 11/2.  Di fatto è una sorta di matema freudiano del fantasma che vincola mescolando insieme qualcosa di impossibile da quantificare, n, con qualcosa di quantificabile; una parte reale impossibile da rappresentare e una parte simbolizzabile per scrivere la struttura della scena immaginaria. Sia il sogno che il fantasma si ordinano attorno a questo reale che non cessa di non scriversi in ciò che il soggetto riferisce della sua esperienza. C’è in questo modo un punto in comune tra il sogno e il fantasma dell’Uomo dei lupi. È un punto di identità tra l’ombelico del reale che lo sguardo dei lupi fa presente nel sogno e lo sguardo del soggetto stesso nella sua impossibilità di incontrarsi con il reale del fantasma della scena primaria del rapporto sessuale tra i genitori. Se il sogno si produce come una formazione dell’inconscio, come una realizzazione del desiderio del soggetto attorno allo sguardo come ombelico del reale, il fantasma si costituisce come una difesa di fronte a questo stesso reale che divide il soggetto.
È quello che la formula lacaniana del fantasma scrive nell’ unione/separazione del soggetto diviso:

($<>a)

Si tratta di un oggetto che il soggetto è nel suo fantasma, – uno sguardo in questo caso – ma anche un oggetto dal quale si separa per costituirsi come soggetto del desiderio nel suo incontro – un incontro che è sempre un incontro fallito – con il desiderio dell’Altro. In questo rapporto di unione e separazione tra soggetto e oggetto – rapporto segnato dal simbolo <> – il fantasma si costituisce come una difesa di fronte al reale, ma anche come la sua unica porta di accesso per il soggetto del desiderio. Di fatto, così come indicava Lacan, alla fine “non c’è altra entrata per il soggetto nel reale che non sia il fantasma”.[8] In questo modo il fantasma si costituisce come difesa, come tenda o schermo di fronte all’impossibile da rappresentare, di fronte all’impossibile del rapporto sessuale e al tempo stesso come l’unica via d’accesso a questo stesso reale che resta inevitabilmente opaco, fuori senso nel fantasma.
Tuttavia, in questa operazione, compie anche una funzione preminente, quella di fissare un oggetto per la pulsione che non ha, per struttura, un oggetto predeterminato. Di fatto, la pulsione, diversamente dall’istinto che sa in quale oggetto deve soddisfarsi per necessità, non ha scritto nel suo programma in che oggetto deve soddisfarsi. La pulsione non suppone nessun rapporto d’oggetto, è pura domanda di soddisfazione in un circuito di andata e ritorno sul soggetto stesso, un circuito di godimento autoerotico per struttura.
In questo senso, così come lo indica J.-A. Miller, “la vera relazione d’oggetto si trova a livello del fantasma […] non si colloca a livello della pulsione […] che ha lo statuto di una domanda e di una domanda più imperativa nella misura in cui è inconscia […] La relazione con l’oggetto non si colloca a livello della pulsione, ma del desiderio e questo per la mediazione del fantasma”.[9]
Al tempo stesso e per questa stessa ragione “il fantasma eclissa la pulsione”, allo stesso modo in cui la percezione della realtà eclissa il reale impossibile da rappresentare.

La lettera del fantasma e il reale del sinthomo

Così c’è sempre e necessariamente qualcosa che non cessa di non scriversi in ciò che il soggetto racconta della sua esperienza fantasmatica, un reale che sopporta il fantasma, ma anche un reale di fronte al quale lo stesso fantasma si costituisce come difesa. Sottolineiamo qui che il termine supporto, utilizzato da Lacan a proposito di questa funzione del fantasma, è lo stesso termine che ha utilizzato in varie occasioni per collocare in modo molto presto un concetto che avrà un lungo percorso nel suo insegnamento, l’istanza della lettera nell’inconscio: “Designiamo con lettera il supporto materiale che il discorso concreto prende dal linguaggio”.[10] In seguito, nel suo testo Lituraterre, utilizzerà il termine “appoggio”[11] per collocare questa istanza della lettera come diversa dal significante. Ed è un supporto o appoggio che potrà trovarsi anche nel corpo del sintomo come luogo di scrittura di un godimento, come iscrizione della soddisfazione della pulsione.
In questo modo si anticipa, seguendo il filo di questa istanza della lettera nel fantasma, quella parte del sintomo che permane come opacità di godimento, fuori senso, parte alla quale si ridurrà la funzione del sinthomo alla fine dell’analisi. Il sinthomo funziona di fatto come un una mescola formata dal fantasma e dal sintomo, lì dove si trova la lettera come punto d’intersezione di entrambi. La funzione del sintomo, alla quale verrà ridotto il sintomo una volta svuotato dal senso che il fantasma gli prestava, è una funzione operata dalla lettera come iscrizione del godimento che rimane fuori senso per il soggetto. In questa funzione, quello che non cessa di non scriversi del reale rimarrà iscritto grazie alla contingenza di un incontro.
Vediamo un eccellente esempio di questa articolazione tra il fantasma e il reale attraverso la funzione della lettera in una testimonianza di passe che abbiamo potuto commentare recentemente.[12] Si tratta delle riscritture successive di un fantasma – essere ridotto allo scarto dell’oggetto anale – che ha la sua articolazione nel sintomo – una anoressia pervicace – a partire dalle seguenti scene: “Prima scena: a pochi mesi mi avevano lasciata nuda nella culla. Con la cacca mi impiastricciai la faccia e sporcai il muro. Seconda scena: la uaua (acqua,) mi ripuliva nella bacinella del bagno; presi il rossetto che c’era nella mensola e ancora nella culla mi dipinsi il viso e scarabocchia il muro.” Una seconda articolazione si produrrà con un’immagine che impressionò il soggetto nella pubertà: “la sigla RIF – Richtiger Idischer Fetz – il sapone della vetrina del museo dell’Olocausto a Gerusalemme mentre lo sguardo di un bambino affamato promesso al sacrificio mi interpellava dalla gigantografia che occupava un luogo preminente nella sala in cui mi trovavo”. Il fantasma si depurerà via, via a partire da un incontro fallito con il reale, fatto presente qui dalla riduzione dell’essere umano al resto più ripugnante: “L’espressione, probabilmente ascoltata nella scuola inglese che frequentavo nell’infanzia – ebrea di merda, mette in rapporto l’S1 e lo scarto/rifiuto, che congiunge nella sua formulazione l’oggetto anale della prima scena e l’oggetto orale con cui, secondo un’espressione paterna, si alimentava mia madre: – Nie jiesc smieci! Non mangiare spazzatura! – gli dice lui nell’osservare il contenuto del piatto che lei si era preparato”.
Sottolineiamo che nelle prime scene infantili non c’è in un primo momento ness’un altro personaggio. Si tratta del rapporto del soggetto con gli oggetti del suo corpo, che occupa qui il luogo dell'Altro, del godimento come Altro, si tratta del rapporto con gli escrementi come resti e con l’attività di imbrattare, dipingere, persino scrivere. Il soggetto si imbratta, dipinge se stesso con gli escrementi e sporca con essi i muri. Il corpo e la parete sono in questo modo la superficie, il luogo in cui l’oggetto anale diventa una specie di scrittura. Nella seconda scena c’è una certa trasformazione di questa attività, più igienica del resto, – una certa sublimazione anche dell’oggetto anale in un oggetto agalmatico per la femminilità – passando dall’escremento al rossetto per le labbra utilizzato per dipingersi il viso e poi scrivere nella parete. Sono due scene nelle quali il reale con il quale si imbatte il soggetto troppo presto – sempre fuori tempo, mai preparato ad esso –, è il reale di un godimento del corpo che rimane fuori dalla cornice del simbolico, del significante, e che prenderà un’altra strada per vincolarsi al simbolico del linguaggio a partire dal registro del reale, la via della lettera.
La lettera, la scrittura, come indicava Lacan a proposito della lettura nel suo seminario del testo Lituraterre, la lettera sta nel reale e il significante nel simbolico.[13]
L’istanza della lettera riappare nella seguente immagine collocata nella pubertà del soggetto, con le lettere RIF iscritte nel sapone della vetrina del museo dell’Olocausto. La lettera è qui scritta nello stesso oggetto del fantasma, il sapone che contrasta con l’oggetto escrementizio della scena precedente dell’infanzia. Sono tre lettere che sono passate alla storia del cosiddetto Olocausto come la cifra dell’orrore sacrificale più abietto, quello che riduce il corpo del soggetto a un resto, a un oggetto residuale, riciclato poi il un oggetto dedicato alla pulizia. Non si tratta qui di verificare o meno l’esattezza di questa operazione attribuita all’abiezione dell’Altro, ma del vincolo che questa scrittura avrà per il soggetto con un altro oggetto, questa volta un oggetto scopico: con lo sguardo del bambino affamato, a sua volta promesso al sacrificio dell’Altro. Sguardo, corpo ridotto a un oggetto dai limiti imprecisi, corpo che cancellerà le forme in un dimagrimento progressivo, corpo che si cancellerà anche come una lettera nel campo del godimento. Proprio in questa via si costituirà il sintomo del soggetto e il suo nodo con il fantasma.
Sottolineiamo infine lo stretto legame di questo percorso pulsionale, percorso anche di tutta un’analisi, con una forma di scrittura, una forma che va dal velo del pudore necessario per diminuire l’orrore dell’oggetto più inumano, velo che ciononostante aveva lasciato il soggetto preso nelle reti della ripetizione e del sintomo, fino alla scrittura finale di ciò che ella stessa colloca in questa “traccia insensata dello scritto nel corpo e nell’incontro traumatico con lalingua
È lì che il soggetto può leggere finalmente ciò che si è scritto del reale nel suo fantasma, quale oggetto stava sotto i veli del pudore, per quanto sottile il corpo si nascondesse in essi. È lì che, riprendendo l’espressione di J.-A. Miller, “questo campo del fantasma funziona come un reale”.[14]

(Traduzione di Erminia Macola e Pilar Sánchez Otín)




[1] Il riferimento è a André Breton e al suo Discorso sul poco di realtà, in J. Lacan, Lo Stadio dello
 specchio come formatore dell’Io, Scritti I, Einaudi, Torino 2002, p. 90.
[2] J. Lacan, Ouverture de la Section Clinique, in “Ornicar?”, n. 9, p. 7.
[3] J.-A. Miller, Presentazione del Seminario VI, (Conferenza alla Mutualità, Maggio 2013). Pubblicata nella rivista digitale Latigazo, 1 e 2).
[4] S. Freud, Lettere a Wilhelm Fliess (1887-19049), lettera 69, Bollati Boringhieri, Torino 2008.
[5] Dall’astronomo e matematico Sir James Hopwood  Jeans del secolo scorso —“L’ universo comincia ad assomigliare più a un grande pensiero che a una grande macchina”— fino all’altro astronomo  Martin Rees del nostro secolo —“L’universo esiste perché abbiamo coscienza di esso”—. Si veda, ad esempio, Bruce Rosenblum y Fred Kutner, Quantum Enigma. Physics encounters consciousness, Oxford University Press , 2008.
[6] J. Lacan, Il Seminario, Libro XI, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, 1964, Einaudi, Torino 2003, p. 42.
[7] “Probabilmente proprio a causa della sua malattia il bimbo si trovava nella camera dei genitori. Questa malattia, la cui esistenza è confermata dalla diretta tradizione familiare, ci permette di situare l’evento nell’estate e quindi di attribuire al bambino (nato il giorno di Natale) l’età di n + 11/2 anni”. S. Freud, Dalla storia di una nevrosi infantile (Caso clinico dell’uomo dei lupi), Opere, VII, Boringhieri, Torino 1977, pp. 514-515.
[8] J. Lacan, La logica del fantasma, Altri scritti, einaudi, Torino 2013, p. 322.
[9] J.-A. Miller, Presentazione del Seminario VI, cit.
[10] J. Lacan, Scritti, I, Einaudi, Torino 2002, p. 490.
[11] “È la lettera come tale a dare appoggio al significante seguendo la legge della metafora”; J. Lacan, Altri scritti, cit., p. 17.
[12] La testimonianza offerta da Paula Kalfus, El arrebato y sus rodeos, al tavolo degli analisti della Scuola, nella recente XX giornata della EOL, Encrucijadas del analisis. Una cita con lo real,  avvenuta il 24-25 novembre 2013. Il testo è ancora inedito e lo citiamo dall’originale trasmesso dall’autrice.
[13] J. Lacan, Il Seminario, Libro XVIII, Di un discorso che non sarebbe del sembiante, 1971, Testo stabilito da J-A. Miller, Edizione italiana a cura di A. Di Ciaccia, Einaudi, Torino 2010, p.113.
[14] J.-A. Miller, Presentazione del Seminario VI, cit.

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